Un patrimonio in attesa di essere riqualificato, valorizzato e reso fruibile a tutti

Dalla scoperta dei resti della cosiddetta Villa di Augusto è trascorso quasi un secolo. In questo enorme lasso di tempo il cantiere è stato aperto e richiuso innumerevoli volte o lasciato per decenni in stato d’abbandono, nonostante il vivo interesse della popolazione sommese a far proseguire gli scavi.
Solo nel 2002 l’Università di Tokyo, fiutando l’inestimabile valore di questo bene archeologico, ha intrapreso un progetto interdisciplinare di ricerca riportando alla luce i primi ambienti dell’edificio romano. Le strutture finora emerse fanno pensare a un complesso di notevole estensione e prestigio che potrebbe dare lustro alla nostra città e attivare flussi turistici con il conseguente indotto.
Ma, allo stato attuale, il sito archeologico resta chiuso per lunghi periodi e solo un paio di volte l’anno viene aperto ai visitatori.
Questa vicenda – certamente complessa e con responsabilità da ricercare in tempi remoti – è un esempio emblematico di un particolare carattere che accomuna gran parte delle amministrazioni della nostra città: l’incapacità di intravedere opportunità e attivare processi virtuosi, di valorizzare i beni culturali (materiali e immateriali) della nostra terra.
A differenza di tante esperienze virtuose, messe in atto da numerosissimi comuni limitrofi e più lontani geograficamente, viene naturale ed è oltremodo doveroso sottolineare l’inattività del comune di Somma Vesuviana che in questi anni non è riuscito a creare reti di valorizzazione, comunicazione e fruizione del patrimonio culturale, evitando un’opportunità di crescita, anche economica, non indifferente.
La Villa Augustea è solo l’esempio più lampante. Siamo circondati da beni in attesa di essere riqualificati, valorizzati, resi fruibili a tutti.

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