La teoria dell’evoluzione: a chi fa paura?

darwin71-770x434Nella storia della scienza mai una teoria scientifica è stata avversata come quella elaborata dal naturalista inglese Charles Darwin (1809 – 1882).

Eppure ci sono teorie, come ad esempio quella della relatività elaborata da Albert Einstein (1879 – 1955), che sono molto più difficili da comprendere, meno intuitive e basate su calcoli che solo gli addetti ai lavori possono capire, che non hanno assolutamente incontrato sulla loro strada le difficoltà ad essere accettate come quella dell’evoluzione.

Come mai? Cerchiamo di individuarne le cause!

La teoria dell’evoluzione mette profondamente in crisi gli apparati ideologico – dottrinari delle chiese cristiane in particolar modo e delle religioni in genere.

In che modo?

Per un semplice principio, già conosciuto nell’antichità, ma perfezionato durante il medioevo da un monaco francescano scozzese, Guglielmo di Occam (1285 – 1347).

Il principio in latino suonava così: “Frustra fit per plura, quod potest fieri per pauciora” che tradotto in italiano significa: “E’ inutile spiegare con più, quando si può spiegare con meno”.

Praticamente, riguardo all’origine della vita sul nostro pianeta, possiamo tranquillamente affermare che è inutile ricorrere a Dio quando più semplicemente la possiamo spiegare con l’evoluzione.

In particolar modo le chiese cristiane sono acerrime nemiche della teoria darwiniana perché essa mette in forte crisi sia la creazione descritta dalla Genesi che un “bastione” dottrinario che è il dogma del peccato originale.

Infatti, se fosse vera la dottrina dell’evoluzione, così ragionano i creazionisti vecchi e nuovi, la Bibbia racconterebbe frottole e non si capirebbe poi a chi attribuire la colpa del primo peccato che ha “guastato”, diciamo così, i piani originari del Creatore e reso necessario che si incarnasse in Gesù, profeta galilaico, la seconda persona della Santissima Trinità.

Contrariamente alle attese creazioniste, nessuna teoria scientifica ha ricevuto conferme empiriche come quella di Darwin.

Vediamo di capire quali sono!

1)      le prove storiche, cioè i fossili e gli altri indizi paleontologici;

2)      le comparazioni anatomiche e morfologiche fra specie viventi imparentate e specie estinte;

3)      le prove molecolari che attestano i differenti gradi di somiglianza genetica fra tutti gli esseri viventi;

4)      le risultanze di laboratorio, dove possiamo osservare in tempo reale l’evoluzione nelle dinamiche parassita/ospite o predatore/preda o nelle “guerre agli armamenti” fra batteri ed antibiotici.

Eppure, nonostante tutte le evidenze empiriche, soprattutto coloro che non si occupano di scienza in modo professionale e frequentano chiese, sinagoghe, moschee, etc., non solo non la comprendono e la rifiutano, ma predispongono tutta una serie di strategie culturali per avversarla manifestamente e frapporre ostacoli legali per la sua diffusione presso le giovani generazioni (questa strategia va dalla costruzione di parchi tematici con assurdità scientifiche, tipo bambini che giocano in groppa a dinosauri, a comitati costruiti ad hoc per impedire che la teoria dell’evoluzione entri nei programmi scolastici ministeriali, com’è successo in Italia ai tempi dei governi Berlusconi, con la riforma “Moratti”).

La teoria dell’evoluzione elaborata da Charles Darwin è molto semplice ed affascinante.

Essa parte da una costatazione empirica molto immediata: sulla Terra non ci sono risorse alimentari per soddisfare le esigenze di tutti gli organismi viventi. Per forza di cose si innesca tra essi una “struggle for life”, cioè una “lotta per l’esistenza” che “premia” i più adatti e “penalizza” i meno adatti.

E’ questa la “selezione naturale” che consente agli organismi di sopravvivere, di generare prole e quindi di trasmettere quei tratti “vincenti” nella competizione biologica.

Quando il celebre naturalista inglese, fra l’altro pastore protestante mancato, formulò la sua teoria nel 1859 in un’opera che ha cambiato l’immagine che l’uomo aveva avuto per secoli di se stesso, “L’evoluzione delle specie”, non si conoscevano ancora i meccanismi che permettevano la trasmissione dei caratteri genetici alla propria prole, ma l’intuizione di fondo era valida.

Gli organismi non nascevano “fissi” dalle mani di un creatore, come si era pensato fino ad allora, ma si evolvevano e la legge che regolava tale meccanismo era la selezione naturale.

In un’Inghilterra permeata di spirito vittoriano, questa teoria che escludeva l’ipotesi di un Dio creatore, suggerì a Darwin l’idea che egli stesse commettendo un delitto, di essere diventato il “cappellano del diavolo”.

Per questo motivo, proprio perché si rendeva conto di ribaltare gli schemi mentali, ritenuti validi fin dall’antichità, che egli, dopo il viaggio intorno al mondo con il brigantino “Beagle”, durato cinque anni, si ritira quasi a vita privata nella sua fattoria nell’Essex, una contea dell’Inghilterra orientale, per dedicarsi ai suoi studi, ma senza pubblicare niente riguardante la sua sensazionale scoperta.

Verrà convinto poi a rendere pubbliche le sue intuizioni naturalistiche da un manoscritto di Alfred Russel Wallace (1823 – 1913) recapitato all’amico Charles Lyell, in cui si annunciava che anche quest’altro naturalista gallese aveva intuito, sempre in un viaggio intorno al mondo, la teoria dell’evoluzione.

Molto onestamente, in un articolo congiunto dei due scienziati alla “Linnean Society”, Russel riconosce a Darwin la primogenitura della scoperta della teoria dell’evoluzione.

Successivamente la teoria dell’ereditarietà di Gregor Mendel (1822 – 1884) e la scoperta del DNA ad opera di Francis Crick (1916 – 2004) e di James Watson (1926) non fanno altro che confermare l’intuizione del grande naturalista britannico e spiegare i meccanismi con cui avvengono la trasmissioni dei tratti “vantaggiosi” al fine di sopravvivere e diffondere prole.

Vediamo molto semplicemente come avviene tale trasmissione.

Intanto bisogna fare una premessa.

L’evoluzione è un dato universale in natura e si presenta a tutti i livelli con gradazioni continue o in modo discreto, tuttavia il soggetto portatore del tratto evolutivo “vincente” e decisivo” è sempre il singolo individuo biologico: il singolo animale, la singola pianta, il singolo microrganismo che in una determinata generazione presenta una “mutazione” di successo nel proprio corredo genetico.

Come avviene tale “mutazione” di successo?

Quando si verifica un errore qualsiasi di replicazione, occorso durante la duplicazione delle cellule somatiche o durante la produzione dei gameti, che alteri la sequenza del Dna. Se la mutazione riguarda i gameti ( il gamete, dal greco “gametes”, cioè marito o “gameté”, cioè moglie, è una cellula riproduttiva o germinale matura. Quasi tutti gli eucarioti presentano due tipi di gameti: maschile , detto negli animali spermatozoo, o femminile, detto sempre negli animali, uovo) diventa ereditabile, si trasmette alla discendenza e assume un’importanza fondamentale per l’evoluzione.

Cosi si è evoluta la vita sul nostro pianeta e, da quello che sappiamo ormai, per il famoso principio del “rasoio di Occam”, che “taglia” le spiegazioni inutili, il ricorso al concetto di Dio diviene praticamente superfluo.

Allora la teoria dell’evoluzione a chi fa paura?

Evidentemente alle chiese cristiane e alle religioni che vedono fortemente messa in crisi la loro visione del mondo che fa ricorso di continuo ad esseri soprannaturali che la teoria dell’evoluzione spazza via inesorabilmente, attribuendo agli stessi organismi viventi una capacità intrinseca di essere “creatura” e contemporaneamente anche “creatore”.

Qualche corrente teologica, che cerca di dialogare con la modernità, ha preso atto dell’inconciliabilità della visione religiosa tradizionale con quella costruita dalla scienza moderna ed ha cercato di correre ai ripari.

Emblematico a tale proposito il pensiero e l’opera del teologo Vito Mancuso (1962), un ex-prete cresciuto alla scuola del cardinale del dialogo Carlo Maria Martini (1927 -2012), che ha espressamente scritto che egli non sarebbe più cristiano se non ci fosse stata la scoperta della teoria dell’evoluzione.

Invece, in altri settori, specie in coloro che vivono la fede ad un livello acritico e non approfondito, permangono sacche di resistenza all’accettazione di una teoria che in un modo molto lineare e semplice cerca di fornire una spiegazione adeguata ed efficace di come siamo comparsi sulla faccia della Terra.

E’ auspicabile che le gerarchie di tutti gli organismi religiosi rivedano le loro posizioni antiquate e retrograde e scelgano decisamente e senza rimpianti di dialogare con il mondo moderno e di presentare una visione religiosa che non cozzi con la razionalità e le acquisizioni scientifiche.

Vincenzo Caputo

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Vincenzo Caputo

Nato a Somma Vesuviana (NA) nel 1955. Laureato all'Università "Federico II" di Napoli in Filosofia con una tesi su Giulio Girardi, teologo e filosofo, impegnato a coniugare le ragioni della fede religiosa con la dottrina marxista. Dopo la laurea, si è inscritto alla Facoltà di Teologia "Duns Scoto" di Nola (NA), conseguendone il diploma. Per diversi anni è stato insegnante di religione cattolica nei licei. Attualmente insegna materie letterarie presso l'Istituto comprensivo "Radice" di Massa di Somma (NA). Coniugato con Rosetta Buonaguro da oltre trent'anni e padre di due figli, Armando e Viviana. Dopo anni di frequentazione e di impegno cattolico nei movimenti ecclesiali (in particolare il Movimento dei Focolari, fondato nel 1943 da Chiara Lubich), ha aderito al programma di ricerca dell'evoluzionismo di stretta osservanza darwiniana. Ultimamente il suo impegno intellettuale è rivolto ad affrontare su basi razionali l'annoso ed appassionante problema del confronto tra fede e scienza, propendendo decisamente per quest'ultima, come spiegazione "elegante" ed efficace dell'origine della vita sul nostro pianeta.

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