Come nasce lo Stato “laico”

craxi_vaticanoGli eventi di queste ultime settimane, soprattutto gli attacchi terroristici a Parigi, stanno riproponendo con veemenza in dibattiti appassionati e molto seguiti la questione della laicità dello Stato

Da più parti si profila questo pensiero: come possiamo difenderci dai fondamentalismi islamici così pervasivi ed ostinati se le nostre comunità ormai “secolari” non posseggono più un’identità culturale e religiosa?

Ecco che urge, secondo l’opinione di taluni, che anche i nostri Stati occidentali perdano i caratteri del “relativismo culturale”, conquista recente del pensiero laico e democratico, e si ritingano di una coloritura ideologica, possibilmente “cristiana”.

Non sono pochi coloro che auspicano una nuova “Lepanto” (la battaglia navale avvenuta il 7 ottobre del 1571 durante la quale le forze cristiane della “Lega Santa”, formata da Spagna, Repubblica di Venezia, Stato Pontificio, Ducato di Savoia, Granducato di Toscana ed altri, inflissero ai Turchi una sonora sconfitta, arrestandone l’espansione militare e religiosa in occidente) con cui abbattere e ricacciare da dove sono giunti le persone di religione islamica, le quali, se vengono da noi, lo fanno solo con lo scopo di convertirci alla loro fede, visto che ormai noi non ne abbiamo più una.

Strumento indispensabile per una “reconquista” confessionale ed ideologica è lo Stato che deve dismettere gli abiti della laicità ed indossare quelli della militanza religiosa attiva, così com’era una volta: noi cristiani in occidente, loro “infedeli” in oriente, secondo uno schema tanto caro alla giornalista Oriana Fallaci e a Samuel P. Huntington, il politologo americano che teorizzò lo scontro tra le civiltà.

Vediamo un po’ come noi occidentali siamo riusciti a superare il concetto di Stato “confessionale” e a realizzarne uno che sia rispettoso di tutte le fedi ed ideologie e non privilegi o discrimini nessuno in base alla sua appartenenza.

La religione è antica quanto la nostra specie!

Gli scienziati sostengono che essa è nata da una predisposizione naturale del nostro cervello che ha trovato “conveniente” ipotizzare dietro ogni fenomeno naturale sempre e comunque una “presenza misteriosa”.

Tale “dietrologia” ci ha favorito dal punto di vista evoluzionistico: l’ominino che ipotizzava che dietro un ramo spezzato ci potesse essere la presenza di un predatore ha avuto più possibilità di sopravvivere rispetto a chi, “illuminista”, dietro un ramo spezzato, vedeva solamente un fatto naturale, come una folata di vento o altro (cfr, “Nati per credere” di Pievani – Vallortigara – Girotto).

Ecco perché le religioni sono antichissime ed incontrano un favore a livello mondiale: nascono da una “exaptation”, cioè un “preadattamento”, che è un concetto introdotto nel dibattito scientifico dal paleoantropologo americano Stephen J. Gould, che significa che un carattere evoluto per una particolare funzione ne assume una nuova, indipendente dalla primitiva.

Le classi dominanti si sono sempre avvalse della religione per tenere a bada, rendere docili e sottomettere i loro sudditi.

L’alleanza tra trono ed altare è fatto antichissimo e non c’è casta dirigente della storia che non si sia mossa secondo questa direttrice.

Nel nostro occidente cristiano, fino agli inizi dell’età moderna, la chiesa cattolica era essa stessa un potere statuale e, durante tutto il corso del medioevo, è stata impegnata severamente in una lotta estenuante e senza esclusione di colpi con l’altra istituzione concorrente, l’impero, per stabilire chi dovesse esercitare la piena egemonia politica e culturale sull’umanità.

Con la fine del basso medioevo e l’avvento dell’età moderna inizia ad incrinarsi e a scricchiolare il “blocco” ideologico che aveva condotto la chiesa cattolica ad essere la dominatrice assoluta ed incontrastata della scena politica: si pensi alla “teocrazia” di Innocenzo III (1161 – 1216), che segnò il trionfo del rappresentante di Dio in Terra, quando tutti i sovrani europei erano contenti di dichiararsi vassalli dell’augusto pontefice.

Prima di tutto tramonta l’idea imperiale, tanto amata e vagheggiata dal nostro Dante Alighieri, e si affermano gli Stati moderni, i quali, se non sono sicuramente contro la religione (anzi la sfruttano a piene mani per ridurre all’obbedienza e alla fedeltà i sudditi), certamente non prendono più passivamente ordini dal papa romano: il famoso “schiaffo di Anagni” (1303) a Bonifacio VII da parte di un messo del re di Francia è rivelatore di un nuovo clima culturale e politico.

Se cento anni prima Gregorio VII aveva “scomunicato” Enrico IV per la questione delle investiture feudali e costretto l’imperatore ad “andare a Canossa” a chiedere il perdono e la revoca della scomunica, se voleva conservare l’autorità presso i suoi feudatari, adesso si può prendere impunemente “a schiaffi” un papa e non succede assolutamente nulla!

Ma questo era ancora niente rispetto a quello che doveva succedere all’interno della cristianità con la riforma protestante!

Martin Lutero (1483 – 1546), monaco agostiniano, scandalizzato e disgustato dalla vendita delle indulgenze (certificati che la chiesa di Roma furbescamente vendeva in cambio di uno sconto sugli anni di permanenza in Purgatorio) elabora quasi una nuova religione cristiana e manda in mille pezzi l’unità religiosa dell’Europa.

Tanti principi dei vari staterelli che compongono il Sacro Romano Impero aderiscono alle nuove idee luterane, anche per non pagare più i tributi alla chiesa di Roma.

Carlo V, imperatore di mezza Europa, vede come fumo negli occhi questo diverso modo di essere cristiani: vuole che nel suo impero si pratichi una sola religione e dev’essere quella cattolica.

Inizia così una guerra senza esclusioni di colpi tra cattolici e protestanti che terminò solamente nel 1555 con la pace di Augusta che elaborò un principio che a noi moderni appare incomprensibile e sicuramente poco rispettoso della democrazia: “cuius regio, eius religio”.

Praticamente, detto in parole povere, per evitare ulteriori guerre e stragi, si arrivò a questa pace di compromesso: i sudditi, per stare tranquilli in un territorio, dovevano seguire la religione del principe. Se il principe era cattolico, tutti i sudditi dovevano essere cattolici, se il principe era protestante tutti i sudditi dovevano essere protestanti.

Per rendere meglio l’idea e far risaltare tutta l’assurdità del principio, possiamo fare un esempio rapportato ai nostri tempi.

E’ come se in Campania, poiché Stefano Caldoro, presidente della regione, è cattolico, tutti gli abitanti di questo territorio, se vogliono vivere in pace e tranquillità, devono per forza abbracciare la stessa religione.

Come si può capire, siamo ancora lontanissimi dalla concezione dello Stato “laico” e della libertà di coscienza, in cui ognuno può abbracciare la fede o religione che vuole, senza per questo essere discriminato o perseguitato.

Un passo in avanti sulla strada della laicità dello Stato sicuramente lo abbiamo con l’Editto di Nantes (1598) con cui il re Enrico IV, pur con determinati limiti e restrizioni, stabiliva il principio della libertà di coscienza, cioè che anche i protestanti liberamente potevano praticare il loro culto.

Solamente però con la gloriosa Rivoluzione Francese del 1789 che affermava i tre principi della libertà, dell’eguaglianza e della fratellanza si pongono le basi per uno Stato pienamente laico che rispetti le differenze e lasci vivere in pace chi la pensa diversamente dalla maggioranza.

In Italia, per giungere ad uno Stato veramente “laico”, dobbiamo aspettare la fine del Fascismo e della guerra e la promulgazione il 1° gennaio del 1948 della nuova Costituzione repubblicana.

Essa nei principi fondamentali, pur riconoscendo all’art. 7, che recepiva il Trattato del Laterano (l’11 febbraio 1929 il Presidente del Consiglio italiano, l’on. Benito Mussolini e il segretario di Stato Vaticano, il card. Pietro Gasparri avevano firmato l’accordo che poneva termine all’annosa “questione romana”), una condizione di favore alla chiesa cattolica di Roma, cionondimeno all’articolo successivo stabiliva che tutte le religioni erano uguali davanti alla legge e che l’adesione ad una di esse assolutamente non poteva essere motivo di discriminazione sociale.

In più di un’occasione, sia in Italia che in altri Paesi europei dell’occidente, è stato ribadito che uno Stato non può più essere “confessionale”, cioè non può privilegiare una confessione religiosa o ideologica a scapito di altre.

Coloro che invocano come “rimedio” alla presunta invasione islamica il ritorno ad uno Stato “confessionale”, con una precisa identità religiosa, ignorano i principi della nostra Costituzione repubblicana.

Ai “nostalgici” delle identità forti, a coloro che nutrono sospetti e diffidenze verso il “relativismo culturale” (a cominciare da papa Ratzinger che fece della battaglia a questa tendenza l’asse portante del suo pontificato) bisogna ricordare che è proprio esso la base portante della democrazia e della convivenza civile tra le persone.

Guai se esistesse “l’assolutismo culturale” e qualcuno decidesse di imporlo agli altri come verità “erga omnes”, cioè valida per tutti; finiremmo inevitabilmente nei fondamentalismi e negli integralismi che tanto aborriamo e che così ci risultano incomprensibili.

La “verità” non esiste, esistono delle norme e queste le creiamo noi, secondo le esigenze, la sensibilità democratica e le convenienze sociali.

Se prendiamo coscienza di ciò, possiamo gettare le fondamenta per uno Stato che rispetti tutti e permetta la convivenza pacifica e democratica tra persone che la pensano anche diametralmente in modo opposto.

 

Vincenzo Caputo

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Vincenzo Caputo

Nato a Somma Vesuviana (NA) nel 1955. Laureato all'Università "Federico II" di Napoli in Filosofia con una tesi su Giulio Girardi, teologo e filosofo, impegnato a coniugare le ragioni della fede religiosa con la dottrina marxista. Dopo la laurea, si è inscritto alla Facoltà di Teologia "Duns Scoto" di Nola (NA), conseguendone il diploma. Per diversi anni è stato insegnante di religione cattolica nei licei. Attualmente insegna materie letterarie presso l'Istituto comprensivo "Radice" di Massa di Somma (NA). Coniugato con Rosetta Buonaguro da oltre trent'anni e padre di due figli, Armando e Viviana. Dopo anni di frequentazione e di impegno cattolico nei movimenti ecclesiali (in particolare il Movimento dei Focolari, fondato nel 1943 da Chiara Lubich), ha aderito al programma di ricerca dell'evoluzionismo di stretta osservanza darwiniana. Ultimamente il suo impegno intellettuale è rivolto ad affrontare su basi razionali l'annoso ed appassionante problema del confronto tra fede e scienza, propendendo decisamente per quest'ultima, come spiegazione "elegante" ed efficace dell'origine della vita sul nostro pianeta.

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