Dalla dichiarazione di Balfur alla Terra Promessa

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La questione palestinese: storia di un genocidio. 
Dalla dichiarazione di Balfur alla Terra Promessa

Nel 1947 l’Assemblea Generale dell’ONU suggeriva la creazione di uno stato ebraico in una parte della Palestina, il piano di ripartizione prevedeva due settori: uno palestinese (il 45% del territorio) e uno israeliano (il 55% del territorio). Ma sono bastati pochi mesi perché Israele occupasse il 78% del territorio, sottraendo dunque ai palestinesi il 32% del territorio che le Nazioni Unite avevano destinato ad essi. Circa 800.000 palestinesi sono stati espulsi dalla loro terre e dalle loro case diventate di proprietà dello stato di Israele. È infine con la “Guerra dei sei giorni” nel 1967 che Israele ha occupato l’intero territorio palestinese.
Nella Striscia di Gaza, unico sbocco al mare dei Territori Palestinesi, vivono più di un milione e mezzo di palestinesi. Il contatto con l’esterno è reso impossibile, Israele controlla tutti i varchi di accesso e di uscita, l’unico punto di accesso a Gaza non sottoposto alla diretta sovranità israeliana è il valico di Rafah. Anche dal mare è impossibile arrivare, a causa del blocco navale imposto dalla marina da guerra israeliana. Negli ultimi anni le navi della solidarietà come Freedom Flotilla, sono state tutte attaccate militarmente dalla marina militare israeliana e dirottate nei porti di Israele, dove sono state sequestrate le merci, le navi, gli equipaggi e gli attivisti imbarcati.
Israele sembra essere immune da qualsiasi provvedimento o norma internazionale mentre la Palestina sta scomparendo e il popolo palestinese muore sotto i suoi attacchi militari.

In queste ore nuove tensioni riaccendono la delicata situazione israelo-palestinese.
Questa volta il premier Netanyahu giustifica l’ennesimo durissimo attacco su Gaza con il ritrovamento dei corpi senza vita di 3 israeliani. Nessuno sa ancora chi sia il colpevole, le fazioni palestinesi hanno negato il loro coinvolgimento, ma Israele ha giurato vendetta dando il via all’ennesima operazione militare, Protective Edge, diretta contro la palestina.
Le università e gli uffici di assistenza sociale sono stati perquisiti e costretti a chiudere. In quattro giorni di bombardamenti il popolo palestinese conta 100 morti e circa 700 feriti. La scorsa notte si è palesato il rischio di un possibile intervento via terra da parte di Israele. La decisione di espandere la portata dell’operazione Protective Edge, in questa direzione, secondo fonti militare israeliane citate da Ynet, potrebbe essere presa a breve.
Il leader palestinese Abu Mazen ha dichiarato la sua volontà di ricorrere alla Corte penale dell’Aja affermando che: “Gli eventi di queste ore non sono una guerra contro Hamas, ma una guerra contro il popolo palestinese. Partita da Hebron, passata a Shufat e adesso a Gaza“, ha sottolineato, riferendosi sia alle operazioni israeliani in Cisgiordania, dopo il rapimento e l’uccisione dei tre ragazzi israeliani, sia al ragazzo palestinese sedicenne, Mohammed Abu Khdeir, bruciato vivo nel sobborgo di Gerusalemme da estremisti ebrei.

Ciò che sta accadendo a Gaza è genocidio. Ma le dimostrazioni di genocidio nei confronti del popolo palestinese sono palesi fin dall’inverno 2008/09 quando fu attuata l’operazione Piombo fuso.
Così mentre la palestina scompare, la morte dei tre ragazzi israeliani ha suscitato commozione e sconcerto in tutto il mondo. Eppure, poco prima della scomparsa dei tre israeliani, una telecamera della CNN, ha ripreso l’omicidio di due adolescenti palestinesi caduti sotto gli spari di un cecchino israeliano.
Pare che le violenze commesse dagli israeliani vengano generalmente accettate e quasi tutti se le aspettano grazie anche alla propaganda dei mezzi di informazione che presentano la violenza israeliana come legittima. Come se il popolo palesinese non avesse il diritto di opporre resistenza all’oppressione e all’occupazione dei propri territori.
I palestinesi sono prigionieri in casa propria. Per gli israeliani, invece, non esistono limiti.
Oltre il mancato rispetto dell’accordo di ripartizione ONU, oltre l’utilizzo di armi vietate, oltre l’occupazione tramite l’uso delle armi, oltre il mancato rispetto delle norme basilari, gli obiettivi delle operazioni militari sono i civili.
E Israele non si fermerà finché la “terra promessa” non sarà completamente sotto il proprio controllo.

Nagwa Fadel

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