I “frutti” dell’Illuminismo in Occidente

Salon de Madame GeoffrinNiente meglio di questo pensiero del grande filosofo di Konigsberg, Emanuele Kant (1724 – 1804), definisce cosa sia l’Illuminismo:

“L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo”

(da “Risposta alla domanda: cos’è l’Illuminismo?”, 1784).

L’Illuminismo è stato un grande movimento filosofico, politico e culturale che ha interessato ogni settore della vita associata degli uomini. Nato in Inghilterra verso la metà del sec. XVIII, ha avuto la sua massima diffusione grazie ai pensatori francesi che ne hanno fatto lo strumento concettuale per “rischiarare” attraverso i lumi della ragione le menti “ottenebrate” dalla superstizione e dai pregiudizi. È proprio grazie ad esso che il nostro Occidente ha intrapreso un percorso “virtuoso” che ci ha fatto fare passi da gigante sotto vari profili rispetto a tutti quei paesi asiatici ed africani che non l’hanno conosciuto ed hanno continuato a vivere all’ombra di teocrazie e regimi ottusi, tirannici e fondamentalistici. Per comprendere appieno la portata rivoluzionaria del movimento culturale di cui stiamo parlando, dobbiamo gettare uno sguardo sulle società preilluministiche. Esse erano profondamente “asimmetriche”, basate sul privilegio. Esisteva gente che era più “eguale” degli altri: in genere, aristocratici ed alto clero (stanno sempre dalla parte del potere!) che, pur essendo molto ricchi e titolari di numerose proprietà, pretendevano di non pagare le tasse. Due episodi, tratti non dalla storia, ma dalla verisimiglianza della cinematografia, che spesse volte riproducono la realtà ancor meglio dei documenti storici, ci possono far comprendere qual era la mentalità del tempo. Uno è tratto dalla popolare fiction televisiva “Elisa di Rivombrosa”. La protagonista è una bellissima ragazza che attira le voglie libidinose e sfrenate di un nobile, il quale, approfittando di un’occasione in cui la fanciulla è sola, mette in atto un tentativo di stuprarla. Elisa naturalmente si divincola e cerca di sfuggire all’aggressione e, nel far questo, afferra una pietra e spacca la testa all’aristocratico. Ebbene, alla fine dei conti, il nobile va in ospedale con la testa rotta e la nostra eroina in carcere, addirittura condannata a morte con un processo che potete immaginare come si sia svolto (per fortuna, la fiction doveva continuare e la sceneggiatura trova il modo di evitarle l’orribile fine).

Un altro è tratto dal famoso film “Il marchese del Grillo”, interpretato magistralmente dall’indimenticabile Alberto Sordi. Ad una domanda del perché al nobile toccava una sorte diversa rispetto ai suoi compagni in ordine ad una carcerazione per schiamazzi notturni e sovversivi, il marchese in modo ineffabile risponde: «Perché io son io, e voi non siete un c…!» Ecco qual era la realtà dei fatti: alcuni avevano tutti i “diritti” di questo mondo, tutti gli altri, i non nobili e coloro che non erano alto clero, avevano solo “doveri” e quindi “giustamente”, secondo la mentalità corrente, non contavano manco un c… .

Questo stato di cose, inutile dirlo, “cementato” dalla ferrea alleanza tra trono ed altare (raramente nell’evolversi storico la chiesa è stata dalla parte dei deboli!), andò in frantumi grazie al pensiero illuministico che sul piano storico “provocò” la gloriosa rivoluzione francese con il suo illustre trinomio: libertà, eguaglianza, fratellanza. Se non ci fossero stati prima l’Illuminismo e la rivoluzione francese e poi Napoleone che, con le sue armate, avrebbe diffuso in tutti i paesi conquistati e sottomessi gli ideali rivoluzionari, noi molto probabilmente vivremmo ancora in una società “asimmetrica” e non vedremmo scritto sulle pareti di ogni tribunale “La legge è uguale per tutti”. La rivoluzione francese, pensate un po’, arrivò anche a Napoli, dove una piccola nobiltà illuminata ed una intraprendente borghesia, grazie alle armate francesi, riuscì a cacciare via i Borbone e ad istituire la gloriosa “Repubblica partenopea”. Ricordiamo alcuni di questi nomi che hanno tentato di dare dignità e “schiena diritta” ai Napoletani: Eleonora Fonseca de Pimentel, Luisa Sanfelice, Domenico Cirillo, Francesco Mario Pagano.

Purtroppo l’esperienza della Repubblica partenopea durò poco! Il protervo potere ecclesiastico, che vedeva nella nuova istituzione un pericolo per la conservazione di privilegi e rapporti di forza, nella persona del cardinal Fabrizio Ruffo organizzò la reazione, radunando quella massa di disperati ed analfabeti che erano i sanfedisti, e sopraffece la fragile neo repubblica, che nel frattempo era stata anche abbandonata dalle armate francesi, impegnate in altri teatri di guerra. Infame e fedifraga fu la sorte che il feroce governo borbonico fece capitare ai rivoluzionari. Questi ultimi si erano arresi alle soverchianti forze sanfediste con la promessa di avere salva la vita. I giudici, manovrati dalla corte borbonica, invece spudoratamente li condannarono a morte mediante impiccagione.

Non si sa se sia leggendario o storico l’episodio noto sotto il nome di “le mutande di donna Eleonora”. La povera repubblicana, nel momento di salire sul patibolo per essere impiccata, chiese di indossare l’indumento intimo per conservare da morta quella dignità che invece avrebbe perduto, mostrando a tutti gli astanti le sue parti intime, una volta che avesse penzolato dalla forca. È un episodio, quella della Repubblica partenopea del 1799, che va ricordato, soprattutto da parte delle giovani generazioni napoletane, che devono sapere quanto sangue sia stato versato perché essi potessero trovarsi a vivere in una società che aveva alla sua base i principi di libertà uguaglianza e fratellanza. In conclusione di queste brevi note, possiamo senz’altro affermare che siamo stati fortunati a nascere in questa parte di mondo che ha conosciuto l’Illuminismo ed è quindi stata capace di gettarsi alle spalle le tante ingiustizie e i tanti pregiudizi di società sacrali e teocratiche che vedevano nell’ordine costituito piramidale, al cui vertice si trovavano gli aristocratici ed i potentati ecclesiastici, un preciso progetto e comando di Dio.

Vincenzo Caputo

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Vincenzo Caputo

Nato a Somma Vesuviana (NA) nel 1955. Laureato all'Università "Federico II" di Napoli in Filosofia con una tesi su Giulio Girardi, teologo e filosofo, impegnato a coniugare le ragioni della fede religiosa con la dottrina marxista. Dopo la laurea, si è inscritto alla Facoltà di Teologia "Duns Scoto" di Nola (NA), conseguendone il diploma. Per diversi anni è stato insegnante di religione cattolica nei licei. Attualmente insegna materie letterarie presso l'Istituto comprensivo "Radice" di Massa di Somma (NA). Coniugato con Rosetta Buonaguro da oltre trent'anni e padre di due figli, Armando e Viviana. Dopo anni di frequentazione e di impegno cattolico nei movimenti ecclesiali (in particolare il Movimento dei Focolari, fondato nel 1943 da Chiara Lubich), ha aderito al programma di ricerca dell'evoluzionismo di stretta osservanza darwiniana. Ultimamente il suo impegno intellettuale è rivolto ad affrontare su basi razionali l'annoso ed appassionante problema del confronto tra fede e scienza, propendendo decisamente per quest'ultima, come spiegazione "elegante" ed efficace dell'origine della vita sul nostro pianeta.

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