Il “rasoio di Occam” applicato al rapporto scienza–fede

Per uno di quegli strani accidenti della storia del pensiero dobbiamo proprio ad un cristianissimo e piissimo frate francescano inglese, Guglielmo di Ockham (1288 – 1347) l’elaborazione di un principio filosofico, il cosiddetto “rasoio di Occam”, che segna un punto decisivo a favore dell’inutilità del concetto di Dio nella trattazione dell’annoso problema del rapporto tra la fede e la conoscenza razionale. Cosa dice questo principio? La formulazione più nota in latino è la seguente: “Frustra fit per plura, quod potest fieri per pauciora” che significa: “è perfettamente inutile fare con più, ciò che può essere fatto con meno”. In realtà il principio è di Aristotele, ma fu intensivamente applicato a tutti i campi del sapere filosofico medievale dal frate francescano. Perché diciamo che questo principio applicato al problema dell’esistenza di Dio, e quindi a quello del rapporto fra fede e scienza, rende superfluo il ricorso ad un essere onnipotente sovrannaturale per spiegare le origini dell’universo, del nostro sistema solare, della vita sul nostro pianeta? Perché ormai sappiamo quasi tutto e possiamo rispondere come Pierre Simon Laplace a Napoleone che gli chiedeva come mai non avesse parlato di Dio nel suo trattato di astronomia: «Maestà, non ho bisogno di quest’ipotesi!».
Vediamo nei dettagli, allora, perché rispetto ai problemi evidenziati poc’anzi, l’origine dell’universo, quella del nostro sistema solare e della vita in suo pianeta periferico, diventa perfettamente inutile fare ricorso al concetto di Dio. Il nostro universo è qualcosa di smisuratamente immenso e, secondo gli scienziati, avrebbe visto la luce circa 14 miliardi di anni fa. Un tempo che la nostra mente non riesce neppure ad immaginare talmente è ‘profondo’ e gli scienziati discutono se esso sia nato da altri universi (la famosa ipotesi del multiverso). Rispetto a questa storia, noi ormai sappiamo tutto: siamo riusciti a ripercorrerla fino ad un secondo elevato alla ‘-33’, un tempo che è talmente infinitesimo che non riusciamo neppure a pensarlo. Alcune galassie, hanno scoperto gli scienziati, come la M77 o la M87, sono talmente grandi che equivalgono ciascuna a diversi miliardi di miliardi di soli. Anche la nostra galassia, la Via Lattea, è smisuratamente grande: formata da cento miliardi di stelle, per percorrerla da un capo all’altro ci vogliono 100.000 anni luce. Ritenere che tutto ciò sia stato creato, come fanno i cristiani e le persone che hanno una fede religiosa, per una sottospecie scimmiesca comparsa in modo contingente appena alcuni milioni di anni fa su di un pianeta (il terzo) di un sistema solare periferico di una galassia, anch’essa periferica, rispetto a tutto l’universo, si potrebbe rispondere come Paolo Flores D’Arcais, direttore della rivista “Micromega”, a Vito Mancuso, capofila dei nuovi teologi italiani che guardano con particolare interesse alla scienza e al darvinismo, inviso sia al Vaticano che ai gesuiti, in un bel confronto tra le ragioni dell’ateismo e quelle della fede: «non è neppure, come dicono a Roma, consolasse con l’ajetto». Eppure i creazionisti questo fanno da secoli, eludono i dati della scienza e sostengono che tutto il creato sia opera di un Dio che ci ha voluto fare questo enorme “regalo”. Il grande logico matematico inglese, Bertrand Russel, premio Nobel per la letteratura, in modo molto ironico creò una famosa metafora, quella della teiera volante, che diceva che se lui avesse sostenuto che tra Marte e la Terra ci fosse in orbita una teiera e si fosse assicurato che nessuno strumento ottico sarebbe stato in grado di osservarla, avrebbe potuto portare avanti questa tesi, senza che nessuno fosse in grado di contraddirla. In effetti si capisce chiaramente a chi volesse alludere il penetrante logico inglese: alle varie chiese che da secoli sostengono l’esistenza di un essere sovrannaturale perché è scritto in libri antichi e che perseguitano, anche mandando sui patiboli e ai roghi, chi non la pensa come loro. Un’altra riflessione che ci induce ad applicare il famoso rasoio di Occam è la totale contingenza dei processi naturali che hanno portato alla comparsa della specie, alla quale tutti noi apparteniamo, denominata homo sapiens. Anche il famoso astronomo della specola vaticana, il gesuita padre George Coyne, ha dovuto ammettere la totale contingenza nei processi naturali che sono stati alla base della comparsa di homo sapiens. Sentite cosa afferma in un bel dialogo con lo scienziato Arno Penzias, premio Nobel per la fisica per aver scoperto la radiazione di fondo dell’universo:
“L’universo rivela il dinamismo dell’evoluzione. Avrebbe Dio potuto sapere che noi saremmo apparsi sulla Terra dopo miliardi di anni dal Big Bang? No, non poteva saperlo. Non poteva sapere ciò che non era conoscibile e la comparsa degli essere umani non è stata soltanto il risultato di processi necessari, ma di una mescolanza di caso e necessità e di un universo molto fertile. Dio sperava che noi un giorno saremmo esistiti. Potrebbe aver pregato perché diventassimo una realtà vivente. Ma non avrebbe potuto rendere necessario questo esito, perché ha fatto un universo che non ci ha determinati solo attraverso processi di necessità.”.
Naturalmente il povero padre gesuita dopo queste affermazioni è diventato ex-direttore della Specola vaticana ed è stato pensionato, adducendo motivi di salute. Questo è il fatto: la comparsa di homo sapiens nella savana africana alcuni milioni di anni fa non è il frutto di alcun processo necessario: doveva per forza andare così e non poteva andare altrimenti. No, homo sapiens è il frutto di processi assolutamente contingenti che vanno dagli errori di trascrizione del DNA, alle condizioni fisico-ambientali del nostro pianeta, alla creazione della Rift – Valley, all’estinzione dei dinosauri ad opera di asteroidi che hanno colpito sempre in modo molto casuale la Terra. Ecco, noi questa storia la conosciamo tutta e veramente non abbiamo bisogno di ipotizzare l’idea di un ‘Ente creatore’. Per non parlare poi dell’incongruenza logica in cui ci involviamo, quando andiamo ad ipotizzare un ente sommo, buono ed onnipotente. Già gli antichi, con il filosofo Epicuro, avevano evidenziato questa contraddizione logica: se esiste un dio buono ed onnipotente, da dove viene il male? A questo punto il principio del rasoio di Occam è implacabile e fa giustizia dei tanti contorcimenti intellettuali ed ideologici su cui le religioni si basano per supporre un’idea, la cui formazione nella nostra mente di sapiens è stata anche spiegata scientificamente: l’evoluzione ha premiato quegli ominini che dietro ogni fenomeno naturale vedevano un’entità nascosta: ciò li ha resi più attenti e cauti nei confronti dei predatori, visto che sapiens per lungo tempo nella savana è stato più preda che cacciatore. È inutile aggiungere che dichiarare che “Dio è morto”, come fece F. Nietzsche, non significa assolutamente vivere una vita immorale e priva di valori umani come vorrebbero invece sostenere i creazionisti. Significa solo prendere atto di questo: che siamo noi i creatori della norma, visto che abbiamo eliminato la cogenza degli istinti presente in altre specie animali e che dobbiamo crearne sempre di nuove e più adeguate che rispettino in profondità tutti gli esseri viventi, sia quelli umani che animali e vegetali.

Vincenzo Caputo

 

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Vincenzo Caputo

Nato a Somma Vesuviana (NA) nel 1955. Laureato all'Università "Federico II" di Napoli in Filosofia con una tesi su Giulio Girardi, teologo e filosofo, impegnato a coniugare le ragioni della fede religiosa con la dottrina marxista. Dopo la laurea, si è inscritto alla Facoltà di Teologia "Duns Scoto" di Nola (NA), conseguendone il diploma. Per diversi anni è stato insegnante di religione cattolica nei licei. Attualmente insegna materie letterarie presso l'Istituto comprensivo "Radice" di Massa di Somma (NA). Coniugato con Rosetta Buonaguro da oltre trent'anni e padre di due figli, Armando e Viviana. Dopo anni di frequentazione e di impegno cattolico nei movimenti ecclesiali (in particolare il Movimento dei Focolari, fondato nel 1943 da Chiara Lubich), ha aderito al programma di ricerca dell'evoluzionismo di stretta osservanza darwiniana. Ultimamente il suo impegno intellettuale è rivolto ad affrontare su basi razionali l'annoso ed appassionante problema del confronto tra fede e scienza, propendendo decisamente per quest'ultima, come spiegazione "elegante" ed efficace dell'origine della vita sul nostro pianeta.

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Una risposta

  1. Francesco ha detto:

    «In considerazione di tale armonia nel cosmo, che io, con la mia mente umana limitata, sono in grado di riconoscere, ci sono ancora persone che dicono che Dio non esiste. Ma ciò che veramente mi fa più arrabbiare è che mi citano a sostegno di tali opinioni»
    (citato in R. Clark, “Einstein: The Life and Times”, London, Hodder and Stoughton Ltd., 1973, p. 400, e in M. Jammer, “Einstein and Religion”, 2002, p. 97)

    «Nelle leggi della natura si rivela una ragione così superiore che tutta la razionalità del pensiero e degli ordinamenti umani è al confronto un riflesso assolutamente insignificante. Qual è il senso della nostra esistenza, qual è il significato dell’esistenza di tutti gli esseri viventi in generale? Il saper rispondere a una siffatta domanda significa avere sentimenti religiosi. Voi direte: ma ha dunque un senso porre questa domanda. Io vi rispondo: chiunque crede che la sua propria vita e quella dei suoi simili sia priva di significato è non soltanto infelice, ma appena capace di vivere»
    (A. Einstein, “Religione e scienza”, 1930)

    «Io non sono ateo e non penso di potermi definire panteista. Noi siamo nella situazione di un bambino che è entrato in una immensa biblioteca piena di libri scritti in molte lingue. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri, ma non sa come e non conosce le lingue in cui sono stati scritti. Sospetta però che vi sia un misterioso ordine nella disposizione dei volumi, ma non sa quale sia. Questa mi sembra la situazione dell’essere umano, anche il più intelligente, di fronte a Dio. La convinzione profondamente appassionante della presenza di un superiore potere razionale, che si rivela nell’incomprensibile universo, fonda la mia idea su Dio»
    (citato in Isaacson, “Einstein: His Life and Universe”, Simon e Schuster, pag. 27)

    «Quello che vedo nella natura è una struttura stupenda che possiamo capire solo in maniera molto imperfetta e davanti alla quale la persona riflessiva deve sentirsi pervasa da un profondo senso di ‘umiltà’. È un sentimento sinceramente religioso che non ha nulla a che vedere con il misticismo. La mia religiosità consiste in un’umile ammirazione di quello Spirito immensamente superiore che si rivela in quel poco che noi, con il nostro intelletto debole e transitorio, possiamo comprendere della realtà. Voglio sapere come Dio creò questo mondo. Voglio conoscere i suoi pensieri; in quanto al resto, sono solo dettagli»
    (A. Einstein, “Pensieri di un uomo curioso”, Mondadori 1997)

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