Femminicidio: quando le parole diventano un’arma

10731163_10204262751121639_2557576001526824360_n25 novembre 2014: giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

A Roma c’è un muro. Un muro della memoria. Il 25 novembre 2012 in via dei Sardi, un gruppo di donne ha realizzato un murale, 107 sagome bianche, 107 vittime di “femminicidio”, in un sol anno. Quasi cento metri di muro, su cui 107 donne si tengono per mano. Tocca ripartire da qui.

L’11 ottobre 2013, il Senato, ha approvato definitivamente, con 143 voti favorevoli,  il decreto legge n.93 su violenza di genere e sicurezza, di cui 5 articoli su 11, contengono misure contro il femminicidio. Il provvedimento, già approvato alla camera dei deputati, diventa così legge.

25 novembre 2014: si assiste ancora alle forme più meschine di violenza consumate sulle donne, anche dagli uomini della loro vita, storie d’amore criminale, storie di violenza irrazionale, verbale, fisica, dove la totale mancanza di ragione e l’individualismo più becero, prendono il sopravvento sulla concezione, quanto mai umana, del NOI, del logos, della parità tra sessi, dei diritti che non vanno conquistati né difesi perché, in quanto tali, appartengono a tutti, a tutte.

 

Dalla nascita alla morte, il diritto insegna. Il diritto educa, assieme alla cultura, all’istruzione, alla coscienza storica. A quanto pare, siamo figli di una cultura malata, che ha radici profonde nell’attuale società, radici così difficili da sradicare. Una società che si crogiola nell’asimmetria dei rapporti, sulla legge del più forte e sulla concezione della donna come “sesso debole”. Ma, fragili, lo siamo tutti, è la natura umana: alla continua ricerca di un equilibrio difficile che non prevede, tollera né giustifica mai e in nessun caso la violenza.

Mi piacerebbe poter vivere in un posto in cui non ci sarebbe bisogno di parlare di “femminicidio”, che non sia nemmeno pensabile alcuna differenza tra sessi.

Mi piacerebbe credere che le parole (talvolta ipocrite) consumate in uno solo dei 365 giorni l’anno, possano diventare esempi di condotta quotidiani. Ma i numeri dimostrano altro.

Una vittima ogni due giorni, 179 solo nel 2013, e cioè il 14% in più rispetto alle 157 del 2012. Contro troppi passi indietro, non bisogna far altro che resistere e lottare per cercare, con la forza delle parole, della ragione e della cultura, quella sana, di riuscire ad estirpare le radici patriarcali e misogine, che sfociano poi, con una frequenza disumana, in una gretta manifestazione del superuomo violento e irrazionale, che “può tutto sulla sua donna”, il cui corpo considera una proprietà violabile, da lui e solo da lui.

Basterebbe fermarsi a pensare. Basterebbe la ragionevolezza. Basterebbe fermare il silenzio. Denunciare e aiutare a denunciare. Come sarebbe più edificante un confronto con una donna? Come sarebbe più simile alla vita, più umano un rapporto esposto al mondo? Perfino esposto al dolore dell’abbandono piuttosto che alla mortificazione dell’obbligo. È dalla conoscenza che si parte per combattere il pregiudizio, l’odio e la violenza. Quando ogni uomo sarà consapevole che, perdendo la libertà della donna, perderebbe una ricchezza, forse, si potrà tornare alla normalità.

Una vita felice, una vita serena, una vita da non maledire solo perché si è nate donna.

 

Marta Pignatiello

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Marta Pignatiello

Marta Pignatiello, 24 anni, studentessa in giurisprudenza. "un foglio bianco, molta solitudine, qualche strappo al cuore e forse una guerra o due" Alda Merini.

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