La bella “favola” del Papato a Roma

Vaticano

Sicuramente un papa come Bergoglio, per i suoi comportamenti “rivoluzionari”, sta riscuotendo un grande successo sia mediatico che interplanetario, specie tra i ceti sociali popolari. La chiesa, nella scelta di un pontefice così vicino ai bisogni della gente, ha giocato “d’astuzia”: visto che il mondo della cultura era ormai perso a causa di un processo totale di secolarizzazione che ormai è un dato di fatto ed un papa come Ratzinger, teologo e filosofo alla fine dei conti, risultava praticamente inutile per la realizzazione di un progetto di espansione e di rafforzamento della cattolicità, i cardinali chiusi in conclave hanno giudicato più conveniente e redditizio eleggere al soglio pontificio uno come Bergoglio, magari con non spiccate doti intellettuali e culturali, ma con un grande carisma personale, capace di colmare quegli enormi fossati di impopolarità e di estraneamento che aveva prodotto il “grigio” pontificato di Ratzinger, specie nei confronti delle grandi masse cattoliche, sicuramente più propense ad entusiasmarsi per i “gesti profetici” del primo che non per le sottigliezze “metafisiche” del secondo. Cionondimeno, nonostante la rivitalizzazione intensiva operata dal pontefice sudamericano, rimane il fatto che il Papato come istituzione è un “abusivo” della storia. Vediamo di capire il perché. La chiesa cattolica di Roma fonda essenzialmente l’istituzione del Papato direttamente voluta da Gesù su di una pericope che si trova nel cosiddetto vangelo di Matteo al capitolo 16 vv.18-19:

“ Io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.  A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.

Secondo la dottrina cattolica, non condivisa naturalmente da protestanti ed ortodossi, Gesù avrebbe inteso con le parole su riportate dare il potere di governare la chiesa a Pietro (“legare” e “sciogliere”, “le chiavi del paradiso”). Ma non finisce qui. Sempre secondo la dottrina cattolica, Pietro sarebbe andato a Roma e di quella città sarebbe divenuto il primo vescovo, subendo, ma è una pia leggenda amplificata anche dal celebre dipinto del Caravaggio, il martirio, crocifisso ma con la testa in giù perché ritenutosi indegno di morire come il suo maestro. Poiché Pietro aveva ricevuto il mandato da Gesù di governare, ecco che l’apostolo può trasmettere a tutti i vescovi di Roma, suoi successori, il potere di dirigere la chiesa universale. Già la faccenda sembra “tirata per i capelli” ed appare palese come ci si trovi di fronte ad un’evidente forzatura storico-ideologica. Perché possiamo fare, senza tema di smentita, quest’affermazione? Perché a questa ricostruzione decisamente partigiana e “pro domo” si frappongono molti ostacoli, difficilmente superabili. È quasi superfluo e scontato sottolineare che in nessun punto del Nuovo Testamento si fa mai alcun accenno al fatto che Pietro sia venuto a Roma e di questa città sia diventato vescovo, come non si sa nulla del martirio (si potrebbe dire sulla giustificazione storica e teologica del Papato che “sotto il sole non c’è nulla di nuovo”; spesso la chiesa cattolica ha letteralmente inventato dogmi e documenti per consolidare il proprio potere). Anche le fonti storiche tacciono su una presunta venuta nella città eterna del principe degli apostoli. Ma il macigno più pesante da rimuovere è un altro e vediamo di spiegarne il perché. Tutto il Nuovo Testamento è pervaso da un’attesa spasmodica della venuta del regno di Dio. Ci sono versetti inequivocabili che fanno intendere il tipo di cosmovisione mitologica posseduta da Gesù e dai suoi seguaci:

  • “Questo vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti.” (Prima lettera ai Tessaloncesi, 4,15, datata ai primi anni 50);
  • la Prima lettera ai Corinziè scritta ad una comunità in cui i primi membri stanno morendo, e Paolo tenta di rincuorarli “Non vogliamo poi lasciarvi nell’ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza” (4,13);
  • “il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!”  (Prima lettera ai Corinzi, 7,29-31).

Come si può evincere da questi scritti (e le lettere paoline, secondo gli studiosi sono state scritte prima dei vangeli canonici) la comunità cristiana e lo stesso Gesù erano fermamente convinti che il regno di Dio si sarebbe realizzato in modo imminente, praticamente era questione di giorni. Allora se questa era la convinzione di Gesù (gli apostoli non avrebbero trasmesso quest’idea se non l’avessero ascoltata dal loro maestro) e della prima comunità, appare evidente che la pericope di Matteo è un’interpolazione, vale a dire che qualche “manina” l’ha aggiunta nel testo matteano a bella posta per favorire il primato petrino, ma questo in tempi successivi, almeno qualche secolo dopo rispetto ai fatti raccontati. Infatti come poteva pensare, Gesù, di istituire un Papato, di per sé struttura stabile che dura nei secoli, se era fermamente convinto che di lì a poco la storia si sarebbe fermata (cambia la scena di questo mondo, dice Paolo) e ci sarebbe stata la “parusia”, cioè l’intronizzazione del regno del Figlio e del Padre?

La verità è che la tesi cattolica sul Papato fa acqua da tutte le parti e non a caso i protestanti hanno buon gioco a non riconoscere il primato di Pietro.

Perché allora il papa si trova a Roma? E’ solamente un fatto politico. Caduto l’impero romano d’occidente nel 476 d. C., il vescovo di Roma resta l’unica autorità morale presente sul territorio, autorità costruita già precedentemente al dissolversi progressivo della struttura statuale latina. Con il trascorrere dei secoli i soliti preti “furbacchioni” hanno cercato di trovare anche una “pezza d’appoggio” al potere temporale dei papi, cioè quest’ultimi, oltre ad essere capi spirituali dei cattolici, erano anche sovrani di uno Stato vero e proprio (lo Stato pontificio). Il trucco è passato alla storia come “la donazione di Costantino”. L’imperatore avrebbe ricompensato i cristiani per l’appoggio militare che aveva ricevuto per la conquista del potere, con la cessione del territorio romano. Il documento truffaldino venne scoperto dal filologo Lorenzo Valla che dimostrò che esso era stato composto nell’VIII sec. e non nel IV (il lessico e la lingua erano inequivocabili), quando era vissuto Costantino.

Questa è storia che non ci faranno mai conoscere, o meglio, di cui Bruno Vespa non parlerà mai nel suo salotto. In televisione avremo sempre una visione edulcorata, acritica, fittizia, funzionale alla sempiterna alleanza tra trono ed altare.

 

Vincenzo Caputo

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Vincenzo Caputo

Nato a Somma Vesuviana (NA) nel 1955. Laureato all'Università "Federico II" di Napoli in Filosofia con una tesi su Giulio Girardi, teologo e filosofo, impegnato a coniugare le ragioni della fede religiosa con la dottrina marxista. Dopo la laurea, si è inscritto alla Facoltà di Teologia "Duns Scoto" di Nola (NA), conseguendone il diploma. Per diversi anni è stato insegnante di religione cattolica nei licei. Attualmente insegna materie letterarie presso l'Istituto comprensivo "Radice" di Massa di Somma (NA). Coniugato con Rosetta Buonaguro da oltre trent'anni e padre di due figli, Armando e Viviana. Dopo anni di frequentazione e di impegno cattolico nei movimenti ecclesiali (in particolare il Movimento dei Focolari, fondato nel 1943 da Chiara Lubich), ha aderito al programma di ricerca dell'evoluzionismo di stretta osservanza darwiniana. Ultimamente il suo impegno intellettuale è rivolto ad affrontare su basi razionali l'annoso ed appassionante problema del confronto tra fede e scienza, propendendo decisamente per quest'ultima, come spiegazione "elegante" ed efficace dell'origine della vita sul nostro pianeta.

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