79 anni e non sentirli: tanti auguri Woody Allen

woody-allenIl termine Φarmakoν in greco ha un doppio significato: sia veleno che antidoto. Può quindi guarire ma al suo opposto anche ammalare. Quando penso a tale parola, per uno sconosciuto e inconscio volo pindarico della mente, subitaneamente penso alle nevrosi del genio Woody Allen: nevrosi che come un veleno gli hanno infettato la vita con innumerevoli paranoie, ma anche nevrosi che si sono trasformate in antidoto al dramma stesso della vita. Come? Mettendole in scena, esorcizzandole, nel suo cinema quasi cinquantennale.

Cinquant’anni d’arte nei quali ha saputo raggiungere vertici altissimi, ma anche insuccessi che non hanno scalfito la sua grandezza di cineasta contemporaneo. Di Woody Allen, che ho imparato ad amare tardi un po’ come mi è accaduto per il cinema in generale, mi stupisce sempre come l’ineluttabilità dell’esistenza possa essere raccontata con ironia. Nel pessimismo cosmico che mi ha contraddistinto fin dalla più tenera età, sono stata folgorata dalla capacità di raccontare nevrosi e paure ridendoci su. Dissacrandole. Ma soprattutto mostrandole al mondo, sapendo che dal lato opposto dello schermo c’è qualcuno che si sveglia nel cuore della notte come Boris Yellnikoff, protagonista di “Whatever Works” perché ha ricordato a se stesso che deve morire, o Alvy Singer di “Annie Hall” che vaga per Manhattan chiedendosi perché il suo amore sia finito. Le paure vengono raccontate come si racconterebbe al bar una barzelletta tra amici o nella sala d’attesa dal dentista. Il suo cinema entra nel quotidiano, si spoglia dell’aria dei grandi kolossal americani e racconta la mediocrità della classe media. Le frasi fatte, la cultura da salotto, la ricchezza dei radical-chic fintamente inesistente ma in realtà ostentata, l’America delle contraddizioni che pavoneggia ad ogni angolo la sua democrazia da asporto: tutto in Allen viene rappresentato con maestria, perché niente è mai come crediamo. Le paure diventano fondamento per una vita di successo, le nevrosi scusanti, l’assenza di fascino e bellezza motivo per conquistare donne bellissime: la meravigliosa Tracy, soltanto diciassettenne,interpretata da Mariel Hemingway, nipote del più famoso Ernest, si innamora di Isaac in “Manhattan”, interpretato dallo stesso Woody, di mezza età, brutto e nevrotico e soffre moltissimo quando quest’ultimo la lascia.

Non soltanto ironia, ma anche comicità allo stato puro, capacità di ridere dall’inizio alla fine del film: “Death and Love”, che è decisamente il mio preferito, parodizza la letteratura russa di Tolstoj e Dostoeveskij e lascia alla storia del cinema frasi come “Il sesso è stata la cosa più divertente che ho fatto senza ridere”, ‟Non posso ucciderlo, è un essere umano macchierebbe tutto il tappeto”. “Il dittatore dello stato libero di Bananas” uno dei primi in assoluto, del 1971, resta per me la più efficace metafora per spiegare ogni dittatura: a Bananas, una volta sconfitta la tirannia, i capi della rivoluzione, tra cui Mellish alias Woody Allen, saliti al potere dimenticano ogni ideale e impongono all’impazzata leggi assurde quanto quelli dei loro precedenti.

Allen non ha mai negato il suo tributo al cinema europeo: Ingmar Bergman per il dissidio religioso che però Woody ha sempre reso con delicatezza, sempre porto allo spettatore col sorriso, Fellini per l’arte di narrare, per la tecnica, per “Otto e mezzo”, “ La strada”, per “Amarcord” e Dio sa quanto altro ancora è possibile amare del nostro Federico! Ma anche letteratura: il grottesco di Kafka, l’umorismo di Pirandello. Pittura, con il veneziano Tintoretto citato a più ripreso in “Tutti dicono I love you” del 1996. L’arte europea è stata fonte primaria, inesauribile corso a cui attingere, perché l’arte si sa trova sostentamento solo con altra arte. E Allen non poteva non scavare nelle radici del vecchio continente, sciogliere il suo debito con cotanta cultura solo facendo tanti film: quasi uno all’anno dal 1966 ad oggi partendo dal semisconosciuto “Che fai, rubi?”. Perché fermarsi significherebbe deporre le armi, oziare, e oziare significa pensare che la vita giungerà prima o poi ad una conclusione. Riscoprire le nevrosi, farle, col declino dell’età, forse vincere. Meglio allora il cinema, ancora, nonostante la vecchiaia: “La vita è terribile menomale che c’è il cinema, sopravvivo distraendomi” ha confessato in un’intervista all’Espresso.

«L’ho detto già in passato a persone che hanno un’idea romantica degli artisti e che considerano la creazione artistica qualcosa di sacro: alla fine, l’arte non ti salva. Non importa quanto sublimi siano le opere che realizzi (e Bergman ci ha dato un menù di sbalorditivi capolavori del cinema), non ti proteggeranno dal fatale bussare alla porta che interrompe il cavaliere e i suoi amici alla fine de Il settimo sigillo» Lo dice proprio Allen nel 2007, alla notizia della morte del maestro svedese.

Oggi il genio Allen, nome d’arte di Heywood Allen, non soltanto cineasta, ma anche raffinato scrittore umorista, compie settantanove anni e li festeggia nel miglior modo possibile: con un nuovo film. Tra due giorni, il 4 dicembre è prevista l’uscita nelle sale italiane di “Magic in the moonlight”, ultima fatica con Emma Stone e Colin Firth.

Io non vorrei mai appartenere a nessun club che contasse tra i suoi membri uno come me”, dice ad inizio film, Alvy Singer in “Annie Hall”. Noi invece Allen ti ringraziamo per averci fatto entrare nel tuo club, per averci resi membri e spettatori del drammatico raccontato rocambolescamente.

Ancora tanti auguri genio.

 

Giusy Aliperti

The following two tabs change content below.

Giusy Aliperti

Laureata in Filologia Medievale e Moderna. Appassionata lettrice e aspirante precaria.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Time limit is exhausted. Please reload the CAPTCHA.