L’involuzione del genere: il Grammar Nazi
C’è una rabbia mista ad un istinto violento che ti assale quando leggi obbrobri sgrammaticati o ti accorgi che l’interlocutore non rispetta la “consecutio temporum” in un dialogo? Sei un “Grammar Nazi”. Non hai scampo.
Il Grammar Nazi-tipo trascorre le sue giornate nell’ansia di poter sbagliare la trascrizione di un pensiero, critica chiunque utilizzi la propria lingua in modi non propriamente riconosciuti dall’Accademia della Crusca e corregge, corregge senza soluzione di continuità inveendo contro l’ignorantone sgrammaticato di turno che proprio non meriterebbe, sempre secondo la sua “visio mundi”, nemmeno di essere annoverato tra gli aventi diritto al voto in una democrazia che sia degna di questo nome. E probabilmente non avrebbe tutti i torti se non si tralasciassero degli aspetti determinanti della questione.
L’uso errato della lingua è sintomo, per quanto mi riguarda, di un eccesso di negligenza nei confronti delle proprie origini linguistiche, quindi dei processi storico-culturali che hanno portato alla formazione del proprio popolo e della propria cultura, quindi della storia dei popoli. Non è un atto di accusa nei confronti dei tanti che, purtroppo o per fortuna (loro), non si sono mai ritrovati a dovere e poter studiare da un manuale di linguistica generale che chiarisse loro tutta la struttura che sorregge una lingua. È piuttosto un invito a non sottovalutare le conseguenze di una deficienza grammaticale, là dove per “grammatica” s’intenda la competenza linguistica d’un parlante; in poche parole quella struttura mentale che ti permetta di riconoscere come corrette determinate forme del parlato e di prendere atto che certe altre siano ineluttabilmente scorrette.
Ma un Grammar-Nazi non è proprio un linguista, è piuttosto un insoddisfatto della vita propria che non riesce a comprendere e interiorizzare l’evoluzione della comunicazione e delle possibilità date dalle più democratiche e forse populiste delle innovazioni: i social media. Con i social media la lingua è nelle mani di chi non ne aveva mai fatto buon uso prima, quelli che la usavano giusto per non comunicare con i gesti quando andavano a fare la spesa o sul lavoro, e questo manda in bestia quelli che io chiamerei “eterni correttori di bozze inesistenti”. Sono inevitabilmente pretenziosi, saccenti e prolissi e antipatici oltremodo quando antepongono al contenuto di un assunto, la forma dello stesso. Bisognerebbe ricordare a questi personaggi che a fare la lingua è proprio il parlante ed essa si modifica attraverso l’uso; lo stesso italiano che i grammar nazi difendono è frutto degli errori del volgare latino, lontano dalle regole rigide della grammatica latina! Al contempo, però, tanto per spezzare una lancia in favore di questi inguaribili romantici schiaccia-maroni, sarebbe molto più bello leggere sempre e comunque opinioni, pensieri o idee, trascritte in modo corretto. Sarebbe bello non sentire più gli onnipresenti “se avrei” o leggere “qual è” in discorsi che contenutisticamente non avrebbero nulla da invidiare a quelli degli espertissimi oratori. Ma la massa è policromatica, la perfezione non è parte dell’umanità e non si può pretendere che si abbia tutti lo stesso grado di competenze in qualsivoglia ambito. Correggere ed inveire non serve. Aiutare a rendersi conto degli errori rimanendo umili e magari spiegare che la grammatica non è poi solo l’abito dell’anima contenutistica sarebbe molto più utile per la riuscita degli atti comunicativi futuri.
Io “non ho mai stato” un Grammar Nazi. Indignatevi pure.
“La grammatica, la stessa arida grammatica, diventa qualcosa come una stregoneria evocativa; le parole risuscitano rivestite di carne e d’ossa, il sostantivo, nella sua maestà sostanziale, l’aggettivo, abito trasparente che lo veste e lo colora come una vernice, e il verbo, angelo del movimento che dà l’impulso alla frase.” (Baudelaire)
Marco Tufano
Marco Tufano
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