Le minoranze inconsapevoli che scrivono la storia

Luciano Canfora, filologo classico, grecista, professore ordinario dell’Università di Bari, così scrive nel suo libro “L’uso politico dei paradigmi storici”: «La storia – si dice – la scrivono i vincitori, ma il problema è capire chi sono i vincitori».

È un gruppo di giovani borghesi ed intellettuali -fautori di una libertà allora sconosciuta-, che nel 1789 mette fine all’Ancien Regime: la storia come da sempre l’abbiamo conosciuta, non esiste più. Crolla un mondo e se ne apre un altro. È il 1 dicembre del 1955 quando Rosa Parks osa rifiutare di alzarsi, su un autobus, per aver occupato un posto riservato a soli uomini bianchi. È l’inizio di una ribellione che contempla un mondo non più composto da un unico colore, ma fatto di chiaroscuri e sfumature.

É il 1988 e uno sparuto gruppo di oppositori al governo di Pinochet si batte contro il plebiscito con cui il generale vuole legittimare il proprio potere per altri otto anni: lo fa con un ritornello, semplice e diretto, Chile, l’alegria ya viene e la rotta cambia, il Cile dice no, la storia può essere riscritta.

Un episodio di cronacGREECE/a del 2001 ci racconta di un gruppo di donne che in Turchia protesta contro i loro mariti: sono stremate dal dover raccogliere ogni giorno acqua attraversando km di strada. L’accaduto, portato poi sullo schermo da Mihaileanu,-regista noto per il più famoso Train de Vie– mostra il vento del cambiamento, il coraggio di opporsi. Le donne, dopo lo sciopero dell’amore, non saranno più costrette ad andare a raccogliere l’acqua rischiando spesso per la propria vita e di quella dei bambini che portano in grembo.

Non basterebbero esempi a raccontare le minoranze, la dissidenza e la disobbedienza che le caratterizza. Le sue paure, talvolta, di esporsi. Aleggia da sempre, nella storia, un’idea errata o quanto meno incompleta: che siano i grandi uomini, i grandi nomi, le folle oceaniche a scriverla, a dirottare l’esistenza del resto dell’umanità che in silenzio resta a subire. E invece la storia vive di una vita sotterranea e clandestina, che muove piccoli passi, che non conosce ideologie sfasate e anacronistiche, che si nutre di ideali semplici e diretti: il bene comune sopra tutto. Viene in mente quella rivoluzione del 1917, che senza contare il dopo (nel bene come nel male), avrebbe cambiato le sorti dell’umanità a venire: gli ultimi, come la Russia li conosceva, le anime morte alla Gogol per intenderci, – la cui vita dipendeva dal latifondista di turno -, non sarebbero stati più mera merce necessaria per il sostentamento di terre da coltivare, ma uomini con dei diritti.

Quarto_StatoÈ stata sicuramente la sinistra negli anni ad aiutare le minoranze: quella che la destra chiamava invidia sociale non era nient’altro che coscienza di classe venuta alla ribalta. E il novecento più di ogni altro secolo apre la strada alle minoranze: ancora una volta come nel 1789 la rotta cambia. Dalla rivoluzione borghese alla rivoluzione proletaria: il mondo di allora che non riconosceva il potere di una classe, la loro etica al lavoro, ha bisogno, – conquistati i diritti borghesi -, di un ulteriore passo innanzi. E’ il mondo proletario che emerge dalle miniere, dalle campagne, dai bassifondi, dalle periferie, dalle fabbriche. I disumani agli occhi dei loro padroni iniziano ad alzare la voce. Diritto allo sciopero, diritto al voto, diritti alle donne, diritto alle otto ore di lavoro. Tutto parte sempre da pochi uomini col coraggio di muoversi controcorrente. Perché non esiste idea più sbagliata di chi crede che per cambiare bisogni partire dall’alto: è dal basso, sempre, che tutto ha inizio. Dal voto di protesta contro chi governa il territorio ancora come un sistema feudale, e crede che la sua voce di misero uomo di periferia non conti nulla e meriti per questo di essere comprata e zittita. E invece quella voce inconsapevole dissesta il terreno, apre le zolle: è lì che ha inizio la frattura, che nasce il caos, che si rigenera una nuova vita. Dalla comprensione per gli ultimi del loro potere decisionale, del loro diritto a esistere e a chiedere né più né meno di chi si trova ai piani alti di ogni società. E’dalle fondamenta che ogni storia può essere riscritta, che si trova il paradigma per le sorti di una nuova umanità.

Il 25 gennaio di quest’anno Alexis Tsipras vince le elezioni presidenziali in Grecia: il suo progetto anti-austerità accoglie il consenso della popolazione stremata dal taglio delle politiche sociali. Oggi la Grecia ha immediatamente provveduto a congelare le privatizzazioni: il porto del Pireo non andrà ai cinesi.

È il Davide che si oppone a Golia: un paese povero e in ginocchio che dice basta alla grande e potente Europa dei numeri, delle teste da tosare senza tener conto dei bisogni dei cittadini. Il padreterno Zeus sembrava essersi scordato di vegliare, ormai da un po’, su questo pezzo di mondo che secoli e secoli fa aveva dato inizio alla democrazia. Il padre che si dimentica delle sue creature.

E invece, inaspettatamente, le minoranze ancora una volta hanno dato il via a un nuovo capitolo da scrivere.

Giusy Aliperti

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Giusy Aliperti

Laureata in Filologia Medievale e Moderna. Appassionata lettrice e aspirante precaria.

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