Siamo tutti Stefano Cucchi

Stefano Cucchi

A noi piace ricordarlo così.

La crudeltà e l’omertà hanno vestito corpi umani diventandone divisa. La crudeltà e l’omertà uccisero Stefano Cucchi il 22 Ottobre 2009 dopo sette giorni di lenta e violenta agonia cominciati la sera del suo arresto, il 15 Ottobre, per detenzione e spaccio di stupefacenti (21 grammi di hashish e 3 dosi di cocaina).

Ventuno grammi di compassione e tre dosi di coerenza deontologica gli avrebbero resa salva la vita. Stefano pesava quarantatrè  Kilogrammi, era alto un metro e settantasei centimetri, quanto basta per essere così leggeri da sembrare quasi invisibili ad occhi e mani forti, sicuri di essere forti. Solo con i deboli. Il giorno seguente l’arresto fu processato per direttissima presentandosi già con gli occhi tumefatti  che aveva giustificato con una improbabile caduta per le scale. Nessuno si chiese da quali scale fosse caduto pur essendo, quella, la scusa più usata da chi in carcere e in caserma subisce violenze e le nasconde temendo delle ritorsioni. Nonostante non fosse proprio in salute, nonostante il suo indice di massa corporea segnalasse una grave malnutrizione, fu decisa la custodia cautelare al Regina Coeli in vista del processo programmato per qualche settimana dopo.

Al padre di Stefano fu negata la possibilità di chiamare il legale di famiglia rassicurandolo che era già stato fatto. Stefano si ritrovò in aula con un avvocato d’ufficio, con una denuncia che lo dichiarava nato in Albania e lo riteneva ‘senza fissa dimora’ (motivo per il quale gli furono negati gli arresti domiciliari) nonostante la sua casa fosse stata perquisita. Ai genitori da quel momento non fu concesso di sapere nulla sul conto del proprio figlio nelle mani dello Stato per una norma che in seguito è stata abolita e che prevedeva un permesso del giudice anche per questo. A loro fu concesso di sapere solo che Stefano era stato ricoverato. Le sue condizioni erano peggiorate, le lesioni erano aumentate e aveva preso a rifiutare il cibo dal momento in cui aveva chiesto di parlare con il suo legale e con il responsabile della comunità per il recupero di tossicodipendenti che aveva frequentato qualche tempo prima ma anche questa richiesta fu ignorata. Il 22 Ottobre muore una prima volta. Morirà per una seconda volta il 31 Ottobre 2014, quando un giudice, uno di quelli bassi e con il cuore vicino al buco del culo, tanto per citare De Andrè, ha assolto tutti quelli che in gradi precedenti erano stati ritenuti colpevoli pur con condanne irrisorie. Come se le forze dell’ordine fossero fuori dallo Stato di diritto garantista e ogni violenza che le vede protagoniste vada nascosta e tacitata dalle Istituzioni con omertà nei confronti delle vittime e della società.

Le sentenze si rispettano, sì, ma quando ci riservano dalla violenza. Quando l’illegalità di chi è ossimoricamente garante della legge è malcelata da queste ultime non resta che indignarsi in tutti i modi possibili per far sì che la propria voce venga ascoltata.

Nel  nome di Stefano, di Federico Aldrovandi, di Riccardo Rasman e di tutti quelli che nelle caserme, nei sotterranei di un tribunale o nelle segrete statali (non riesco a chiamarle carceri) hanno subito soprusi, non si può tacere né nascondersi dietro una sentenza che ci fa chinare il capo e digrignare i denti.

Spazio, quindi, anche ai pensieri di personaggi noti. Celentano scrive dal suo blog “ […]Sei finalmente libero di amare e scorrazzare fra le bellezze del Creato, senza più il timore che qualche guardia carceraria ti rincorra per ucciderti. Perché dove sei tu non si può morire[…]”. Jovanotti, invece, afferma che “i casi come quello di Stefano Cucchi spezzano il cuore e fanno paura, perché sono squarci che si aprono verso l’inferno vero, quello della violenza protetta da una divisa o da un camice”. Makkox, invece, nella trasmissione “Gazebo” di Rai Tre, dedica una serie di vignette che riportano Stefano Cucchi quasi come un Gesù contemporaneo, uno dei tanti ultimi prevaricati dai prepotenti. Sui social network divampa la protesta: persone di tutte le età si fotografano con cartelli che riportano la scritta “Ad uccidere Stefano sono STATO io”, e non a caso mettendo in evidenza la polivalenza di “STATO”.

Un unico grido a chiedere giustizia, quasi ad implorare che non succeda più nulla di tutto questo e che venga una volta e per tutte abolita anche questa silente e quasi consentita pena di morte. Stefano Cucchi siamo anche noi.

 

Marco Tufano

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Marco Tufano

Classe 1989, trasferitomi a Somma nel 1994, ho praticato basket dal 1996 al 2008, diplomato al liceo classico 'Tito Lucrezio Caro' di Sarno, laureando in lettere, corso di laurea in Editoria e Pubblicistica. Coltivo la passione per la scrittura in forma di articoli di giornale e versi poetici. Responsabile editing e correzione bozze. "Scrivere è come la droga che odio e che prendo. Il vizio che disprezzo e in cui vivo." F. Pessoa

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